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Elisa: album in italiano superando l' insicurezza

Elisa: album in italiano  superando l' insicurezza

Non provate a radiografare l’anima di Elisa: davanti ai ficcanasi indosserà subito una camicia di piombo, e metterà al riparo le sue emozioni più private. Per lo scricciolo di Monfalcone la voce non è uno strumento da confidenze a mezzo stampa: basta e avanza quello che rivela mentre canta, quando tra le pieghe di una meravigliosa ritrosia rivela anche ciò che forse non vorrebbe. Come nel testo di "Stay", il nuovo singolo tratto da un "Greatest Hits" da più di 500mila copie: lei ancora si mangia le mani per aver detto pubblicamente che la canzone è dedicata a suo padre. In quei primi versi c’è tutto un mondo di legami obliqui, di codici familiari vissuti per traverso: "Non hai osato dire una singola parola/non ho osato chiederti qualcosa in più/ho mantenuto le mie domande segrete nel profondo di me/ma avrei voluto farti sapere di tempo fa, quando avrei detto/aspetta, e per favore resta/intendi spingermi via?/per favore aspetta e resta/volevi che andasse in questo modo?". Ora papà non sta bene, ma Elisa - come ha detto giorni fa - pensa che la canzone gli sia piaciuta, in qualche modo. Stop. Il rapporto fondante è quello con mamma Silva, che mentre la figlia si preparava al concerto di Torino (venerdì 27 canterà al Palalottomatica di Roma) le telefonava per darle i consigli di tutti i giorni. Elisa, non mi dirà che mamma non si fida della pupa popstar? «Mah, è piuttosto apprensiva, ogni tanto mi tocca spegnerla. Quando ero più piccola era una sofferenza, ma ormai sono dieci anni che giro il mondo. Ora mi regala ciondoli portafortuna. Da portare sul palco». Le dice: figlia mia, non dimenticarti la maglia di lana. «Eh, proprio. Siccome sa che sono delicata e che prendo freddo facilmente... E poi ho un carattere vivace, non bado troppo alla salute. La tranquillità non mi si addice». Dovrà pur fare i conti con l’immagine della ragazza rock. «Sì, ma le mamme sono tutte uguali, mica si rassegnano. Il camionista che ci accompagna in tour ha 45 anni, ma pure lui subisce paziente la sua. E guai a beccarsi il raffreddore. Certi cazziatoni». Ma si sente in colpa nei confronti della signora Silva? Lei, una scavezzacollo che prende e se ne va appena cresciuta? «Niente affatto. Mi sento in pace con i miei affetti. So di averle dato molto anch’io, anche nei momenti più duri. E continuiamo a vivere pienamente la nostra relazione, come tutti in famiglia». E con la mamma del suo fidanzato Ali come va? «Alt! Parliamo d’altro?». Ok. Il primo disco comprato? «"Bad" di Michael Jackson. Fantastico. Avevo nove anni». Quando scoprì che nella vita avrebbe voluto cantare? «Ero ancora una bambina. Fu un momento preciso, non so se una folgorazione ma una roba del genere. Ho provato a descrivere quell’attimo nel brano "Qualcosa che non c’è". Quando dico: "Un giorno/Ho scritto sul quaderno/Io farò sognare il mondo con la musica". La metafora è quella, anche se il mondo è troppo». Non direi. Ci siamo. Perché queste insicurezze? «Sono meno nervosa di un tempo, il lavoro mi rende felice, quando canto sono concentrata e serena». Ma? «Ma niente». Possiede un talento cristallino. Cos’è che la spaventa? «Sono cresciuta ascoltando e imitando le voci delle grandissime, da Aretha a Dolores O’ Riordan, da Brandy a Barbra Streisand. A volte mi sembra di non avere qualità per cantare certe cose. Come i brani rockabilly e pop-soul tra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta. I gruppi vocali femminili...». Le Ronettes, per dire. «Esattamente! Come vorrei saper reinterpretare quei gioielli, ma occorre un timbro particolare. Ho in testa da tempo l’idea di eseguire una cover di "Be my baby", ma chissà se ne sarò capace». Potrebbe ricavarne un disco. «Ho pensato di registrare un concerto di sole cover e trarne un dvd. Pezzi arrangiati in modo originale, da esploratori dei suoni. Mettendoci sulle piste più imprevedibili, cercando il cuore nascosto della canzone, i suoi angoli più remoti». Prima però dovrà pubblicare il suo primo, annunciatissimo cd di brani tutti in italiano. «È un progetto complicato. Ci sto provando, ne ho già scritta qualcuna nella nostra lingua. Ma un album intero è diverso. Sto cercando di acquistare credibilità come autrice in italiano. Prima per me era un tabù, temevo di sembrare sbagliata. Mi veniva naturale esprimermi in inglese». Se ci pensa bene è un paradosso. Una coperta di Linus. «Sì, un blocco psicologico. Mi sentivo protetta dall’inglese, era il mio mantello che mi trasformava in un piccolo eroe. L’italiano non mi aiutava a trovare la mia identità creativa. Questo era il problema». Poi ci fu "Luce", con cui trionfò a Sanremo. E sopratutto l’immensa rilettura di "Almeno tu nell’universo". Mentre la cantava "sentiva" di essersi avvicinata a Mia Martini? «È difficile rispondere. Solo lei potrebbe dircelo: certo, volevo ricordare Mia, ma percorrendo un’altra strada. Cantandola sottovoce, come una ninna nanna, o un requiem. Ho girato con discrezione intorno a quella canzone, che di per sé è già un capolavoro». La famiglia di Mia l’ha mai ringraziata? Loredana si è fatta viva? «Adesso che ci penso...no, nessuna reazione. Si saranno fatti gli affari loro, ma del resto anch’io. Io non mi aspetto mai niente, rispetto il loro silenzio, come qualunque altra reazione». È vero che c’è una mezza idea per un duetto con la Pausini? «È stato un equivoco. Ci siamo incontrate una volta sola, so che le piaccio come cantante, e che a livello di pura ipotesi non si può escludere nulla. Ma quando è uscita la notizia Laura mi ha mandato una mail per chiarirci». Con Ligabue? «Non abbiamo parlato del futuro. Se accadrà dovrà essere un esperimento spontaneo come con "Gli ostacoli del cuore". Le premesse ci sono, perché ora io e Luciano ci sentiamo più intimi. È un amico vero». Zucchero? «Mettiamola così: non mi piace proporre idee usando i giornali. Il mio riserbo è una forma di rispetto per i colleghi». D’accordo, ma il sogno proibito? «Non è un mistero: mi piacerebbe cantare con Bono, ha da sempre una delle voci più suggestive della scena rock». Perfetto. Glielo ha mai chiesto? «Oddio, no. Morirei dall’imbarazzo...». Con Tina Turner trovò il coraggio. «Insomma, questo delle collaborazioni per me è un terreno fertile, si tratta solo di trovare l’idea giusta, imprevedibile. Io ho fatto capolino su dischi altrui, magari nel mio prossimo lavoro avrò degli ospiti». Intanto c’è il tour che prosegue. La diverte sempre la vita on the road? «Da morire. Prima di partire preparo le playlist di dischi che non riuscirei ad ascoltare se non sul pullman. Una delle mie ultime scoperte è la francese Camille. Mentre viaggio prendo appunti, scrivo testi. E poi leggo: ora sono immersa nel "Fango" di Niccolò Ammaniti. Ma impazzisco anche per Haruki Murakami, Karen Blixen, Emily Dickinson, Maxence Fermine. E Bukowski, Hesse, Isabel Allende». Elisa, per amore fa la pendolare con la California. La vede filtrata come in un miraggio del tempo, come la West Coast dei Doors e di Janis Joplin? «Nel 2007 si è perso l’indirizzo dei sogni. Però Hollywood conserva un suo alone magico. Sarà la posizione geografica, ma trasmette un’energia incredibile. C’è una luce naturale che pare un trucco di qualche regista. Sì, è sempre quella la terra dell’oro. E dell’abbondanza dello spirito». Fonte: Il Tempo